E gli amici se ne vanno…

Scriveva Freud  con il lucido cinismo dello psicanalista che lo scopo della vita è la morte. Lo diceva anche Mozart, sapendo che nemmeno il suo genio gli avrebbe concesso privilegi quando si sarebbe trovato di fronte la Signora in nero con la falce che lo avrebbe invitato a seguirla. Perché la Signora con la falce non concede proroghe e porta sempre a termine il suo lugubre compito. La sua falce è insanguinata e il suo carro trainato da enormi cani cerberi è sempre carico di trapassati. Mi rendo conto che sto tergiversando, che sto eludendo il vero motivo di questo sfogo, il dolore che ho nel cuore. È morto un mio amico fraterno e mi risulta molto difficile parlarne a persone che non lo conoscevano. Dire che quasi ogni sabato sera andavamo a «farci  pizza e birra» in un ristorante senza che dovessimo prima prenotare un tavolo non è una notizia che possa turbare più di tanto i lettori di questo articolo, ma per noi, per me e per lui, significava il ripetersi di un rituale che ci era caro. Era intorno a questo tavolo che avevamo l’opportunità non solo di mangiare e chiacchierare dei fatti della settimana, ma anche di confidarci e di sciogliere i nostri ricordi, belli e meno belli. È stata una vita  intensa la sua: viaggi, donne, avventure, brillante carriera di giornalista e editore. Di cose da raccontare ne aveva proprio tante, ma non erano cartoline illustrate o semplici cronache: erano la testimonianza di una vita poco banale. Esagerata per certi versi; non si era fatto mancare nulla il mio amico: due mogli, quasi tre, quattro figli e una carica di lavoro diventato eccessivo. Tutto questo all’età di ormai ottanta anni cominciava a pesargli, ma lui niente: andava avanti come un bulldozer. E  io che gli dicevo: «Frena, Tom, frena…» Ma lui rispondeva  che aveva troppe responsabilità sulle spalle, quelle della sua famiglia allargata e quelle del suo giornale, che riteneva un dovere tenere in vita, principalmente per i suoi collaboratori, che mi diceva difficilmente avrebbero trovato un  altro impiego in un periodo di crisi come questo. Era così Tommaso. Avrebbe potuto godersi la sua pensione più che dignitosa e finire la sua vita in modo sereno pensando di più a sé e meno agli altri senza per questo ignorare i suoi doveri di padre. Ora mi chiedo a cosa sono serviti tanto altruismo e tanti sacrifici quando avrebbe potuto con un po’ di sano egoismo «frenare». Coloro per i quali si è in certo senso «immolato» ora  lo piangono. Ne è valsa la pena? Te lo dicevo: «Frena, Tom, frena…» E magari avremmo potuto farci una pizza in più con una bella birra ghiacciata come piaceva a te.

Bruno Fontana

Nella foto: Tommaso Tommasi.

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