
L’anno inizia all’insegna del rinnovamento dopo l’investitura plebiscitaria di Matteo Renzi alla segreteria del Partito democratico, mentre Angelino Alfano sostiene il governo di Enrico Letta con il Nuovo centrodestra frutto della defezione dal Popolo della libertà, a sua volta sostituito dalla rinata Forza Italia di Silvio Berlusconi. Questi, escluso dal senato in forza della legge Severino, diventa il terzo leader extraparlamentare dividendo la condizione, anche se per ragioni diverse, con lo stesso Renzi e con Beppe Grillo fermamente alla guida del Movimento cinquestelle. Per la cronaca, una spaccatura si era registrata al centro con l’uscita da Scelta civica di Mario Monti, che tuttavia un seggio nella camera alta lo conserva vita natural durante per altissimi meriti, come vuole la costituzione.
Alla luce dei risultati e dei sondaggi le principali forze politiche risultano essere tre e più o meno di eguale consistenza numerica, mentre si continua a perseguire il disegno di un bipolarismo che si pensa di poter attuare attraverso una modifica della legge elettorale, peraltro già colpita da una recente pronuncia di incostituzionalità. Nel frattempo resiste il governo delle larghe intese, fortemente condizionato dalla nuova leadership del Partito democratico che detiene la maggioranza assoluta alla camera dei deputati ma deve fare i conti con il senato dove non gode della stessa prevalenza.
Ancora una volta l’indice è puntato sulla costituzione che si vorrebbe modificare per adeguarne l’impianto ai tempi attuali; ma intanto l’aggiornamento avviene nei fatti. La decretazione, nella forma della urgenza e in quella delegata, è ormai la regola: il consiglio dei ministri approva, il provvedimento va al Quirinale ma se ne conoscono i contenuti solo attraverso i comunicati stampa; il capo dello stato firma un testo articolato che approda alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ed entra in vigore, a seconda dei casi, il giorno stesso o in un termine diverso espressamente indicato. Spetterà alle due camere imprimere il carattere della definitività al decreto legge nel testo originario oppure in uno modificato. La centralità del parlamento è ridotta a una petizione di principio, mentre viene posto con insistenza il tema del bicameralismo che sarebbe di ostacolo alla funzionalità del sistema.
L’anomalia italiana, che meglio sarebbe qualificare come originalità, consisterebbe nel fatto di avere due camere diverse con gli stessi poteri. Una seconda camera come sede di raffreddamento e di più meditata adozione delle leggi ha finora consentito di rimediare ai guasti provocati talora da decisioni affrettate ed estemporanee. In una repubblica parlamentare il bicameralismo perfetto è una realtà coerente e utilissima; in una repubblica presidenziale, a fronte di maggiori poteri del governo, vengono in risalto le funzioni di controllo delle istituzioni rappresentative. Eppure ci sarebbe da chiedersi come mai, in paesi come gli Stati Uniti d’America dove il presidente è l’unico sovrano assoluto del pianeta con la sola differenza rispetto ai monarchi di essere a tempo determinato, resista la camera dei rappresentanti insieme con il senato, l’una e l’altro dotati di una posizione tutt’altro che simbolica. E così, parità ma non mancanza di poteri a parte, avviene negli altri paesi del mondo, quasi dovunque caratterizzati dal bicameralismo: Regno Unito, Francia, Spagna, Germania, tanto per limitarci ai più significativi esempi nel continente europeo.
Se così stanno le cose, appare singolare che accanto alle varie e ben altrimenti incisive emergenze nazionali il tema del bicameralismo venga agitato con frequenza costante e quasi ossessiva. Non è certo qui la soluzione dei problemi; ma, quand’anche la si volesse immaginare in questi termini, più che una prospettiva sarebbe una illusione.
Lillo S. Bruccoleri
Nella foto: il senato degli Stati Uniti d’America
(dal Mensile di gennaio 2014)