Il giorno del giudizio

Quasi settanta anni ci dividono da quel dicembre del 1947 quando nel giro di una settimana venne formalizzato l’avvento della carta costituzionale: il 22 l’approvazione dell’assemblea, il 27 la promulgazione del capo dello stato che per primo, all’inizio del 1948, assumerà il titolo e le funzioni di presidente della repubblica. Si concludeva un capitolo della nostra storia e se ne apriva un altro: dall’esperienza dolorosa di una nazione sconfitta e divisa, dilaniata dallo strascico fratricida di una guerra disastrosa, a una nuova stagione densa di speranze e tensioni ideali. L’Italia riprendeva finalmente il sentiero democratico e si avviava fiduciosa verso la propria ricostruzione morale e materiale. Quella costituzione non era certo perfetta, ma guardava al futuro e nasceva con amplissima condivisione di suffragi nella votazione finale.

Sette decenni di esperienza repubblicana hanno nel complesso consolidato la stabilità di una classe politica che nell’alternarsi delle maggioranze e degli esecutivi ha normalmente visto sulla scena politica gli stessi protagonisti che si limitavano a scambiarsi i ruoli. Nelle più recenti fasi della nostra esperienza istituzionale si è tuttavia manifestata una crescente inclinazione verso dinamiche atipiche che hanno trasformato le interferenze fisiologiche tra i diversi poteri in ingerenze improvvide alterando gradualmente quel sistema di bilanciamenti su cui tanto si erano tormentati gli autori della costituzione.

Si potrebbero richiamare vari aspetti che trascinerebbero in tecnicismi sterili ai fini di una valutazione complessiva; è perciò necessario richiamare soltanto il punto essenziale: si chiede oggi di intervenire su una trasformazione radicale degli attuali equilibri attraverso un voto che  ove si concludesse con scarti minimi convaliderebbe o sconfesserebbe una riforma attuata con una base di consensi estremamente limitata. Il risultato sarebbe comunque divisivo e in netta controtendenza rispetto alla volontà dei costituenti, ai quali si può ora attribuire un peccato di ingenuità quando non hanno blindato le modifiche costituzionali con la maggioranza dei due terzi senza scappatoia alcuna. Diventa così possibile connotare con il carattere di plebiscito sull’azione di un governo e di una maggioranza una scelta che non appartiene né all’uno né all’altra. Il pericolo della irreversibilità può essere scongiurato solo da un no che preluda a più meditate e soprattutto sincere evoluzioni.

Lillo S. Bruccoleri

Dal quotidiano La Certezza n. 87 di domenica 4 dicembre 2016

Nella foto: Umberto Terracini consegna il testo della Costituzione italiana a Enrico De Nicola

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