Italia divisa sulla costituzione che unisce

Giornata di silenzio per la riflessione sul voto referendario di domenica, quando gli italiani potranno confermare la riforma costituzionale voluta dal governo Renzi oppure esprimere il proprio dissenso contrassegnando con un no la scheda elettorale. I sondaggi della vigilia non possono costituire un ancoraggio sicuro, anche alla luce delle recenti esperienze che in altri contesti hanno dimostrato la oggettiva inattendibilità delle previsioni. Si conosce però l’affluenza degli elettori all’estero che si sarebbe attestata intorno al quaranta per cento degli aventi diritto e che, se i margini fossero ristretti, potrebbe fare la differenza. Anche sotto questo aspetto è difficile azzardare i pronostici e in definitiva bisognerà attendere il conteggio materiale dei voti.

Va sottolineato che alla complessità della materia fa da riscontro un approccio generico al tema. Pesa inoltre un senso di stanchezza da parte di quei cittadini che guardano principalmente alle questioni economiche immediate piuttosto che ai meccanismi legislativi in buona parte riservati agli addetti ai lavori e agli specialisti della materia.

Quali che saranno i risultati, non sfugge la portata divisiva di una contrapposizione tra opposti schieramenti che sarebbe stato oltremodo saggio e opportuno evitare attraverso una più ampia convergenza nella sede parlamentare. La riforma è stata approvata con un margine di 19 voti, la costituzione con uno di 195: dieci volte maggiore. Ma era soltanto il 22 dicembre 1947.

Lillo S. Bruccoleri

Dal quotidiano La Certezza n. 86 di sabato 3 dicembre 2016

Nella foto: Palazzo Giustiniani, sala della Costituzione, dove la firmarono il 27 dicembre 1947 Enrico De Nicola, Alcide De Gasperi e Umberto Terracini

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