
Fatica a a unirsi il vecchio continente, tormentato dalla estenuante verifica degli equilibri interni e dalla necessità di far quadrare i conti tra stati variamente colpiti da una interminabile serie di fattori congiunturali e dal peso del debito pubblico che frena gli sforzi per la crescita e la ripresa degli investimenti. Tra una scadenza e l’altra, per tacere della persistente e ormai endemica fragilità della difesa in ordine alla sicurezza, i grandi temi internazionali vengono affrontati nelle sedi più qualificate e solenni
A Taormina si sono incontrati i grandi del pianeta, sia pure con qualche significativa assenza come quella della Russia, e i risultati non sono stati esaltanti, se si eccettua l’impegno del contrasto comune alle minacce integraliste. Ma il dato che ancora una volta emerge con evidenza è che l’Europa in quanto tale è ben lontana dal potersi esprimere con una voce univoca. Paesi come la Germania, la Francia o la stessa Italia giocano ciascuno il proprio ruolo, mentre i dialoghi incrociati si moltiplicano e così si procede praticamente ognuno per la propria strada.
Eppure la costruzione di una Unione europea finalmente federale è entrata nel patrimonio della coscienza collettiva e allo stato attuale è qualcosa di cui è giocoforza accontentarsi. L’auspicio è che la politica dei piccoli passi sia in grado un giorno di dare i frutti migliori, ma in generale l’impressione è che le classi dirigenti siano distanti dalla volontà dei popoli, che infatti all’occasione si ribellano.
È successo nell’America degli Obama e dei Clinton, che ha prodotto il fenomeno Trump. È successo da noi dove la radicalizzazione dello strumento referendario ha suscitato un diniego netto che ha condotto alle dimissioni il governo che su questo dichiarava di avere riposto il suo destino. È successo due volte nel Regno Unito, dove la consultazione sulla Brexit ha dato l’esito opposto a quello propugnato dal governo e poi le elezioni politiche hanno depotenziato, anziché rafforzarla, la maggioranza del partito che aveva voluto il voto anticipato rispetto alla scadenza naturale della legislatura.
Forzare il corso degli eventi si rivela comunque una scelta sbagliata e in generale può ben dirsi che la fretta è cattiva consigliera. A più forte ragione meritano di essere realisticamente considerati gli orientamenti che emergono dalla società civile, da quella gente comune alla quale il presidente Francesco Cossiga amava richiamarsi nei momenti importanti.
Non sappiamo come si esprimerà il corpo elettorale francese chiamato al rinnovo delle camere dopo avere scelto il capo dello stato nella persona di Emmanuel Macron, che ha bruciato nel suo cammino tutte le candidature espresse dall’establishment consolidato a partire dallo stesso François Hollande che di suo aveva deciso di rinunciare all’Eliseo in conseguenza di una chiara caduta di popolarità. Ecco, si ritorna al punto: la politica sarà un fatto élitario nell’ascesa al potere, ma questa è decisa dal basso perché vuole così la democrazia.
Lillo S. Bruccoleri
Nella foto: Jeremy Corbyn, il leader del Partito laburista considerato il vincitore delle elezioni politiche in Gran Bretagna
Dal Mensile di giugno 2017