L’anno scorso è iniziato con la pubblicazione della sentenza numero uno della corte costituzionale che abrogava alcune parti delle leggi elettorali rendendone il contenuto compatibile con la carta fondamentale. Diventava così un dato ufficiale, al di là degli aspetti formali certamente ineccepibili, che il parlamento era stato rinnovato svariati mesi prima (la sentenza costituzionale era stata pronunciata a dicembre) in modo sostanzialmente irregolare e non poteva più dirsi rappresentativo dell’elettorato. Per molto meno in Grecia si era proceduto a distanza addirittura di pochi giorni e si sta adesso per procedere a nuove elezioni caratterizzate dallo scottante problema della permanenza nella unione monetaria europea. L’anno scorso è iniziato con la presa d’atto del più grave strappo al principio della sovranità popolare, il cui ristabilimento doveva essere e non fu sentito come esigenza assoluta in un paese retto da un governo a cavallo tra quello tecnico che si era trascinato inerzialmente da una legislatura all’altra e quello politico che gli sarebbe subentrato a seguito delle vicende interne del partito di maggioranza. Quest’anno inizia con le dimissioni del capo dello stato, rieletto controvoglia da quello stesso parlamento che si accinge a decidere sulla successione dopo avere concesso la fiducia a due governi ugualmente privi di una esplicita designazione popolare. Sia notato per inciso che i soli «grandi elettori» politicamente legittimati saranno i delegati regionali che entreranno nell’occasione a far parte delle camere riunite in seduta congiunta.
Condizioni eccezionali e interminabili difficoltà congiunturali inducono a risposte non convenzionali e d’altra parte sono state previste nella costituzione: i decreti d’urgenza rientrano in questo schema. Volendo ammettere una necessità derogatoria imposta dalle circostanze tutto diventa possibile, compresa la modifica della costituzione operata da un parlamento incostituzionale nei fatti ma pienamente legittimo sul piano strettamente formale. Non è neanche un peccato se si accetta il principio con il quale la scuola gesuitica ha spiegato che se l’obiettivo è buono basta la probabilità che un’azione sia giusta per renderla accettabile. E non è casuale che uno storico come Luigi Salvatorelli abbia iniziato uno dei suoi trattati proprio con il richiamo ai fondamenti dottrinari della compagnia di Gesù: l’intenzione santifica l’azione non meno di quanto in una dimensione laica il fine giustifichi i mezzi.
Si sta discutendo il testo aggiornato delle leggi elettorali pensando di approvarlo subito a garanzia di tutti, anche se il ricorso alle urne viene ormai previsto per la scadenza naturale della legislatura in modo da assicurare la permanenza in carica degli attuali parlamentari. Saranno loro a eleggere il nuovo presidente e ad approvare quei provvedimenti che il governo vorrà proporre potendo sempre contare su un voto di fiducia. Questa la prospettiva: che poi si realizzi davvero è tutto da verificare.
Lillo S. Bruccoleri
Dal Mensile di gennaio 2015
Nella foto: Benito Mussolini si presenta a Vittorio Emanuele III che nel pieno rispetto della legge gli conferisce l’incarico di governo (30 ottobre 1922)