Le definizioni spettano a noi

Raccontare le donne, la loro vita, o parte di essa, è una cosa molto complessa. Ho iniziato questo percorso partendo da me, dal lavoro che io stessa ho fatto per migliorarmi e per escludere dalla mia vita tutte quelle persone che mi avevano ferita, volontariamente o no. Mi sono appassionata a diverse letture che raccontano le donne evidenziando la loro forza, la loro tenacia e la grandezza della natura selvaggia che esse racchiudono. Questo mi ha portata a cercare sempre più approfondimenti, tra articoli di giornale, interviste e dirette instagram. Non pensavo che sarei arrivata a riscoprire anche la mia natura, le mie paure e debolezze ma, più di ogni altra cosa, i miei punti di forza che ormai riconosco come miei credo. Ho deciso di confrontarmi con altre donne e raccontare una parte difficile delle loro vite, in cui si sono trovate di fronte a scelte molto dure da sostenere, a volte obbligate. Ho riscontrato un mix di fragilità e caparbietà che mi ha stregata e, a volte, fatto male.

Combattiamo da tempo immemore per riuscire ad andare oltre i pregiudizi, quelli che ci fanno sentire meno di ciò che siamo e che ci costringono chiuse in noi stesse, con il terrore di sfuggire alla nostra femminilità, impedendoci di lasciar emergere la nostra vera essenza. Ci hanno detto di essere troppo «mascoline», sboccate, troppo facili, troppo sensibili, troppo materne… troppo. Ci hanno stuprate, messe in discussione, hanno dubitato di noi, ci hanno rese solo un’immagine ed il più delle volte si sono dimenticati di difenderci. È una lotta continua che con gran probabilità vedrà fine tra molto tempo. Ma noi non siamo ancora stanche di farci sentire, anche se siamo in fondo alla fila, dove ci hanno messe, con l’illusione che lì saremmo rimaste.

Gli aborti di cui ho parlato nei precedenti articoli sono stati una rivelazione, per me, perché nessuna donna al mondo merita di essere trattata in quel modo, come troppo frequentemente accade, negli ospedali e/o all’interno dei consultori che dovrebbero avere un maggior occhio di riguardo. Non una delle donne di cui ho parlato, nessuna con cui mi sono confrontata ha mollato. Non ci sono stati cedimenti, nonostante le loro ginocchia tremassero dall’enorme fardello che stavano portando con sé. Si sono fatte forza, traendola il più delle volte da dentro, senza chiedere aiuti, spesso per paura di essere giudicate. Non c’è del bello in questo, perché dimostra la mancanza di tutela, ma c’è dello straordinario: quell’incredibile coraggio che ognuna ha tirato fuori perché sapeva di poterlo fare.

Questo mi porta ad una domanda: cosa ci rende così differenti dagli altri? Cosa ci impedisce di dire parolacce senza risultare troppo volgari o di indossare un paio di shorts senza trasformarci improvvisamente in una donna che ogni uomo può portarsi a letto? Noi non ci siamo definite, mai. Lo hanno sempre fatto gli altri, gli uomini.

A definirci complicate sono stati loro, infatti, mai nessuna di noi. Abbiamo iniziato a dirlo di noi stesse solo quando abbiamo cominciato a convincerci di esserlo, ma non per nostro demerito. Questo, purtroppo, accade perché la carica delle parole è insostituibile e la loro capacità di entrare nel nostro cervello ed automatizzare un messaggio è immediata.

Ogni anno muoiono centinaia di donne per mano degli uomini. E per quelle stesse mani vengono massacrate, abusate, annientate psicologicamente e non possiamo più permetterlo, né dobbiamo. Stiamo inventando nuovi modi di comunicare violenze domestiche; video che diventano virali e possono letteralmente salvarci la vita. Organizziamo manifestazioni e cortei, appoggiamo e fondiamo associazioni. Creiamo canali per unire le nostre capacità e lavorare insieme.

Siamo un universo meraviglioso fatto di cose meravigliose. Non dobbiamo abbatterci, non dobbiamo smettere di lottare o essere unite contro un sistema che lotta contro il bullismo, mentre contraddicendosi si prende gioco di noi e non vuole darci tregua. Ciò accade in un mondo governato da uomini dove il concetto di femminismo deve per forza citare il suo opposto per essere spiegato.

Ed è solo giustizia pretendere l’uguaglianza! Fortunatamente qualcosa si sta muovendo e sta cambiando. Abbiamo alzato il volume delle nostre voci ed insieme con questo anche il nostro tono ha assunto colori differenti. Siamo l’esempio da seguire e non più l’eccezione, perché non esiste una regola. Io voglio essere l’esempio. E voi?

Silvia Bruni

Nella foto: donne contro la violenza ad Ankara

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