L’espressione geografica

Clemente di Metternich, agli albori della nostra stagione risorgimentale, avrebbe definito l’Italia una espressione geografica. Vera o falsa che sia l’attribuzione, letteralmente contestata nella sua attendibilità storica, sembra ritagliata apposta per l’Europa di oggi, incapace di parlare al mondo con una voce sola e soprattutto dilaniata da una crisi economica con devastanti tendenze recessive. In queste condizioni salgono le spinte nazionalistiche e la critica all’euro diventa una sorta di caccia all’untore manzoniano identificato nella moneta unica quale origine di ogni precarietà. Naturalmente una impostazione siffatta ha forti connotazioni semplicistiche, ma il disagio è reale e il fallimento della politica del rigore contrapposta a quella della crescita e dello sviluppo ha assunto il carattere di una drammatica ovvietà. Eppure è la visione di insieme che può condurre a un processo di integrazione continentale che in molti ritengono necessaria per risalire la china, facendo prevalere la logica della solidarietà sulle convenienze particolari. Sandro Pertini denunciava l’angustia dei contrapposti utilitarismi: questo è un ragionare da mercanti, diceva, non è più ragionare da uomini politici che hanno a cuore veramente le sorti dell’Europa e quindi del mondo intero. Si va ora al voto per il rinnovo del parlamento rappresentativo di mezzo miliardo di cittadini del vecchio continente. La prospettiva rimane quella degli Stati Uniti d’Europa nella cui realizzazione sono riposte le aspettative e le speranze non solo per superare le gravi difficoltà congiunturali ma per avviarsi davvero verso un futuro in cui ci si possa ritrovare in una patria comune finalmente unita e in grado di affrontare le sfide di ogni giorno. La partecipazione convinta all’appuntamento elettorale sarebbe il preludio a un effettivo cambiamento.

Lillo S. Bruccoleri

(dal  Mensile di maggio 2014)

Nella foto: Klemens Wenzel von Metternich (1773-1859)

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