Ancora una volta i consuntivi di fine d’anno presentano i temi della crisi economica e delle riforme istituzionali. E ancora una volta il governo in carica è diverso da quello dell’anno precedente: nel 2013 Enrico Letta, nel 2012 Mario Monti, nel 2011 lo stesso Monti che però era subentrato un mese prima a Silvio Berlusconi. In compenso il presidente della repubblica è sempre Giorgio Napolitano, il cui tradizionale discorso è particolarmente atteso per via delle sue intenzioni di dimettersi al più presto ponendo fine al secondo mandato. Quest’anno segna pure il compimento del semestre di presidenza italiana dell’Unione europea che è toccata a Matteo Renzi e si ripeterà tra quattordici anni almeno. In precedenza lo stesso incarico era stato svolto, tra gli altri, da Silvio Berlusconi, Giulio Andreotti e Bettino Craxi. Ma a ben guardare qualcosa di nuovo c’è ed è la pubblicazione a gennaio della sentenza costituzionale con la quale è stata dichiarata la illegittimità di alcune modifiche delle leggi elettorali note sotto il nome di porcellum secondo una inelegante ma molto efficace definizione proveniente dal leghista Roberto Calderoli che ne era stato uno degli autori. A scanso di equivoci, è bene precisare che la conseguente abrogazione delle norme che hanno portato all’attuale composizione delle camere potrà avere effetto solo a partire dalle prossime elezioni come ha avuto cura di precisare la stessa consulta, che nella parte finale così si è testualmente espressa: «Rileva nella specie il principio fondamentale della continuità dello stato, che non è un’astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal parlamento». Rientrano dunque in un piano di stretta e ineccepibile legalità le elezioni che hanno portato in parlamento un buon numero di componenti che senza le modifiche incostituzionali non ne avrebbero avuto titolo, escludendone altri che invece ne avrebbero avuto diritto.
Il risultato è stato una alterazione della effettiva rappresentanza popolare, che tuttavia ha determinato, tra l’altro, l’insediamento di due diversi governi e la stessa inedita rielezione del presidente della repubblica. Nei momenti difficili è proprio a lui che è affidato il compito di tutelare l’interesse generale rispondendo alla propria coscienza e compiendo le scelte che gli appaiono necessarie. Non vi sono limiti al suo libero apprezzamento che non siano quelli del rispetto della costituzione e della fedeltà alla patria; in questo spirito rientrano anche possibili forzature interpretative, quali per esempio le nomine dei senatori a vita che in condizioni normali è difficile immaginare in termini di ineludibile priorità. La figura del capo dello stato, ridisegnata dal costituente dotandolo di tutti i mezzi per garantire l’equilibrio e la stabilità del sistema, diviene centrale nei momenti più critici. Proprio l’eccezionalità della situazione ha indotto Napolitano ad accettare una rielezione che all’inizio non voleva e che ha subito dichiarato di non intendere prolungare fino al termine settennale del mandato. Il senso dello stato e lo spirito di sacrificio del presidente lasciano sperare in una sua permanenza al Quirinale fino a quando le fasi più acute della crisi non saranno superate e avviate ad accettabili soluzioni. Ma a questo punto, in una fase congiunturale dai contorni emergenziali che investe tutti i settori, si impone qualche riflessione sul recente passato e soprattutto sul prossimo futuro.
L’abrogazione a stralcio delle leggi elettorali, se da una parte le ha riportate nell’alveo della legittimità costituzionale, dall’altro ha denunciato il vizio d’origine dell’attuale legislatura, caratterizzata da un parlamento che non dovrebbe esserci in quanto formato secondo criteri incontestabilmente dichiarati contrari alla carta fondamentale. Eppure questo stesso parlamento non solo continua a operare sulla spinta di governi ripetutamente confortati da un voto di fiducia e spesso attraverso la conversione di decreti formalmente imposti da casi straordinari di necessità e urgenza, ma predispone modifiche strutturali dell’ordinamento che ne stravolgono l’impianto originario. In queste condizioni si fa fatica a riconoscere la correttezza della evoluzione del sistema, che si sta svolgendo sotto l’imperio di soggetti istituzionali afflitti da una imbarazzante eterodossia genetica. Per scrivere la costituzione ci volle un anno e mezzo di lavoro da parte di una assemblea appositamente eletta con voto universale al quale per la prima volta furono ammesse le donne; per innovarne radicalmente i contenuti basterebbero due camere elette secondo criteri opinabili sul piano politico e ormai ripudiati su quello giuridico. Così stando le cose, sarebbe bene svincolare la legiferazione costituzionale da quella ordinaria, lasciando solo questa alle attuali camere e riservando la prima a un parlamento formato secondo regole che quanto meno siano compatibili con lo spirito e la lettera della costituzione.
Lillo S. Bruccoleri
Dal Mensile di dicembre 2014
Nella foto: Palazzo della Consulta