
Che confusione. Sarà perché… viviamo? Ancora tante e frammentarie sono le notizie sui nuovi focolai italiani di covid 19 in varie città e comuni meno noti. Dai media le scorgiamo spuntare di continuo, sparse come quegli appariscenti funghi rossi con i puntini bianchi, denominati amaniti muscarie o ovoli malefici, fra l’altro altamente tossici. Un po’ come la proteina spike, che al microscopio si può notare sulla superficie rotondeggiante, che permette al coronavirus di infettare ed attaccare le cellule umane rendendolo così contagioso. Ma a quanto pare in questa fase estiva la curva nazionale dei contagi è in netta diminuzione anche se il virus vive ancora fra noi. Epidemiologi e virologi di ogni provenienza esprimono le loro opinioni scientifiche su potenziali date di arresto dell’incubo di questa pandemia.
C’è chi ipotizza, come Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto farmacologico Mario Negri di Bergamo, in una recente intervista a Panorama, che qualcosa stia cambiando: «Al pronto soccorso non arrivano più malati in crisi respiratoria come settimane fa; come tutte le epidemie, anche covid 19 scomparirà, ma non in tempi brevi», perché continuerà a stare con noi ancora per uno o due anni finché si fermerà a furia di circolare.
È impossibile sapere quando saremo liberi da questo temibile nemico invisibile: l’unica cosa plausibile da osservare per ricavare un’analisi su casi empirici già accaduti è la storia passata. Infatti le pandemie possono terminare in due modi: dal punto di vista medico quando finiscono i contagi ed i decessi e dal punto di vista sociale quando le persone non sono più fobiche nei loro riguardi. A tal proposito è degno di nota un articolo del New York Times che spiega che è più facile che la pandemia cessi realmente di esistere tra la gente quando la popolazione decide di non pensarci più. E proprio facendo della dietrologia si evince che le pandemie passate si sono esaurite in primis socialmente, tanto che alcune, dal punto di vista medico, non sono mai scomparse del tutto. Per esempio, l’epidemia di peste diffusasi a cavallo tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento non finì mai completamente: questo sia perché il batterio con il tempo mutò diventando meno mortale, sia perché i sudici ratti portatori della peste iniziarono a vivere più lontano dalla specie umana; tuttavia ancora ai tempi attuali ci sono casi di peste, seppure rari e curabili con normali antibiotici. Oppure possono ricordarsi casi di malattie come il vaiolo, scomparse per l’effettuazione di una vaccinazione di massa che ha messo la parola stop alla sua diffusione nel 1980, come ha dichiarato l’Oms. Però, in quel caso, i sintomi dell’infezione erano facilmente riconoscibili ed isolabili e non paragonabili affatto a quelli di covid 19 perché tanti degli infetti sono asintomatici.
Si confida nel vaccino, ma anche qui bisognerà fare i conti con la mutevolezza del virus, per cui è molto probabile che la fine dell’incubo del 2020 sarà più sociale che medica. La popolazione deve continuare a vivere, volente o nolente, anche in mezzo alla confusione, specialmente ora, durante la stagione più calda e attesa dell’anno: l’estate. Si raccomanda fino allo sfinimento di mantenere le corrette distanze di sicurezza, ma il pensiero dovrà spostarsi anche altrove, alleggerendosi gradualmente, all’interno di un processo sistemico.
Allan Brandt, lo storico della bostoniana università di Harvard, sostiene anch’egli che il virus non verrà sconfitto da un giorno all’altro: l’epilogo dell’epidemia richiederà uno sviluppo lungo e difficile.
Mara Valsania
Nella foto: esemplari di amanita muscaria