
Riforma della costituzione: ripristinare integralmente il testo originario del 1948
Le parole sagge del capo dello stato nel tradizionale messaggio di fine d’anno sono state accolte con l’unanime apprezzamento delle forze politiche responsabili del paese. Sulle questioni più importanti può ritrovarsi un ampio accordo oltre gli schieramenti di maggioranza e di opposizione, specialmente quando si voglia modificare la carta fondamentale che ha retto alla prova delle turbolenze polemiche e ha garantito un sostanziale equilibrio tra i diversi poteri. Ora il presidente del consiglio annuncia una stagione di riforme che dovrebbe dispiegarsi lungo l’arco del duemiladieci e portare a un costruttivo rinnovamento.
Ancora una volta si parla di riforme e ancora una volta le si contorna del velo del sospetto che servano prima di tutto a garantire la posizione personale del premier mettendolo al riparo dalle insidie giudiziarie tanto frequenti nel suo cammino. Più in generale, si profila una trasformazione dello stato nel senso di attenuare il ruolo del parlamento e di potenziare quello del governo in nome della efficienza e snellezza complessiva del sistema. Sarebbe persino banale osservare che i livelli massimi di funzionalità si raggiungono in situazioni autoritarie che non devono scontare condizionamenti democratici di sorta. Al di sotto di questa soglia estrema possono tuttavia operare dei meccanismi che garantiscano il controllo dell’esecutivo senza paralizzarne l’attività.
Appena due anni fa si celebravano i sessanta anni della costituzione, durante i quali non vi è stato momento in cui non si sia pensato di cambiarla; ma ciò non è avvenuto se non per qualche aspetto particolare. Una provocazione allora può essere quella di suggerire una riforma radicale consistente nel ripristino integrale del testo costituzionale entrato in vigore il primo gennaio del quarantotto. Avremmo allora una camera dei deputati eletta per cinque anni e un senato per sei, con la conseguenza di trovarci a breve con le elezioni di mezzo termine come negli Stati Uniti d’America; un mandato di dodici anni per i giudici costituzionali che li allontanerebbe di più dai mutamenti del quadro politico. E, dulcis in fundo ma solo residualmente, il ritorno della immunità parlamentare e della protezione giurisdizionale dei ministri che da solo risolverebbe quello che oggi pare il problema dei problemi.
Lillo S. Bruccoleri
(gennaio 2010)