
Un parlamento umiliato dall’irruzione di uno sconosciuto tenente colonnello dell’esercito, Antonio Tejero Molina, alle ore 18 del 23 febbraio 1981, sembrava in bilico tra la sopravvivenza della democrazia e l’improvviso ritorno della dittatura. Sette ore dopo, in divisa di capitano generale degli eserciti, il re Juan Carlos di Borbone condannava il tentativo di golpe sgominandolo sul nascere. Non così in Grecia, nella notte tra il 20 e il 21 aprile 1967: un altro re, Costantino II, legittimava il putsch militare con la destituzione del capo legittimo del governo George Papandreu e l’insediamento al potere del colonnello Georgios Papadopoulos. Tra i due eventi il colpo di stato del’11 settembre 1973 nel Cile, dove questa volta un generale, Augusto Pinochet, tradendo il giuramento prestato nelle mani del presidente Salvador Allende, ne determinava la caduta anche fisica facendo bombardare a Santiago il palazzo della Moneda. Il 28 ottobre 1922 un re nostrano rifiutava di far intervenire l’esercito dinanzi ai quadrumviri e al nutrito stuolo di irriducibili in marcia verso la capitale, mentre il futuro duce si tratteneva a Milano, da dove sarebbe partito l’indomani in vagone letto verso Roma per ricevere l’incarico di governo. Mal ne incolse al sovrano che diede avvio a un processo storico che avrebbe posto fine alla monarchia, non dissimilmente dalla sorte toccata poco meno di mezzo secolo dopo alla dinastia ellenica, liquidata da quello stesso dittatore a cui il sovrano aveva spianato la strada. In entrambi i casi, sia detto per inciso, la repubblica si affermò a seguito di referendum popolare: il 2 giugno 1946 e l’8 novembre 1974 .
Si vede bene che in date circostanze il corso della storia può essere orientato secondo il comportamento di una sola persona investita di funzioni sovrane quale è un re. Ma nei due casi qui ricordati il ruolo svolto dalla monarchia fu quello di rendere legale un regime nato sulla spinta di una palese illegalità. I tempi cambiano e così pure le situazioni: adesso, nella stessa penisola iberica, abbiamo un regno con caratteristiche unitarie che deve fare i conti con le tentazioni secessionistiche emerse nella «generalitat» catalana. Il capoluogo di questa regione è quella stessa Barcellona colpita a metà agosto da un cruento attacco terroristico che ha suscitato la commozione sincera e la solidarietà profonda di tutto il popolo spagnolo, che si riconosceva con pieno spirito unitario nella stessa nazione.
L’evoluzione politica in Catalogna ha esasperato un conflitto latente con il governo centrale coinvolgendo le istituzioni locali in una esperienza referendaria giuridicamente irrilevante ma dotata di un forte impatto emozionale. Non si discutono gli aspetti formali, dominati da una pronuncia della corte costituzionale che dichiarava illegittima quella consultazione; ma proprio per questo se ne poteva lasciare libero lo svolgimento data la inidoneità dello strumento a provocare nell’immediato un qualsiasi mutamento nella integrità territoriale dello stato.
Si è preferito opporre la forza del potere centrale che è divenuta oppressione addirittura armata contro persone inermi che dopotutto non chiedevano altro che di potersi esprimere sia pure in modo irrituale. Questo comportamento, ostinatamente assunto da un governo che non può certo presentarsi come modello di stabilità, ha fomentato un conflitto sfociato in un braccio di ferro tra l’istanza locale e quella centrale. Si è così arrivati a una dichiarazione di indipendenza destinata a cadere nel nulla almeno fino a quando non fosse ufficialmente formalizzata, come pare sia stato richiesto da Madrid.
In una situazione divenuta incandescente era e sarebbe ancora necessario un intervento capace di riportare il confronto su un terreno di ragionevolezza in nome dell’unità e della solidarietà di tutto un popolo. Proprio qui è mancato il ruolo decisivo di un re, che per molto meno di quanto fu richiesto a Juan Carlos nei momenti bui dell’attentato alla democrazia avrebbe dovuto impegnarsi per ristabilire un clima di unità e solidarietà tra le diverse componenti della popolazione. Si dice che Felipe, in quella fatidica notte dell’ottantuno, fosse stato chiamato dal padre ad assistere a come si deve comportare un re. Non sembra abbia imparato molto da quella lezione avendo fomentato il fuoco dello scontro anziché spegnerlo. Volendo farebbe ancora in tempo: in fondo anche per i re può avvenire il miracolo del riscatto.
Lillo S. Bruccoleri
Dal Mensile di ottobre 2017
Nella foto: Filippo VI durante il discorso alla nazione