Democrazia e diritto

L’unico messaggio alle camere il presidente Napolitano lo ha dedicato alla questione carceraria e alla urgenza di adeguare gli istituti penitenziari agli standard di vivibilità fissati dalla corte di Strasburgo. Il dibattito che ne è seguito, peraltro al di fuori delle aule parlamentari, si è concentrato su questo aspetto e sulla urgenza di provvedimenti «svuotacarceri» come l’amnistia e l’indulto; assai minore attenzione, per non dire inesistente, è stata rivolta agli aspetti sostanziali, tra cui si vuole qui evidenziare quello della depenalizzazione. Un radicale sforbiciamento del codice penale risponde a una esigenza di civiltà storica prima ancora che di utilità pratica. La categoria dei reati contravvenzionali, quelli che non colpiscono al cuore l’ordine violato ma lo feriscono appena, non merita di sopravvivere; così pure quelli perseguibili a querela di parte possono tranquillamente essere trasferiti nella sede civile, dove oltretutto è più ampio il campo di sanzionabilità non trattandosi di provare la colpevolezza di un imputato e nel dubbio di assolvere, ma di stabilire la responsabilità di un soggetto in ordine a danni provocati ad altri in funzione diretta del risarcimento o altrimenti di riconoscere o negare dei diritti che siano in qualche modo reclamati. Lo stesso discorso vale per i reati previsti da leggi speciali o settoriali, per i quali resta semmai da valutare la rilevanza al fine dell’eventuale inserimento nel codice penale, che reca ancora le firme, per quanto appaia incredibile, del re imperatore, del capo del governo nonché del fascismo e del guardasigilli Alfredo Rocco.

         Un secondo fatto, dopo il messaggio presidenziale, è poi intervenuto ed è la sentenza costituzionale che ha parzialmente abrogato la legge elettorale vigente determinando la reviviscenza delle disposizioni precedenti e, in particolare, del sistema proporzionale. Al di là delle discettazioni giuridiche che sono comunque intempestive perché non si conoscono ancora le motivazioni dei giudici delle leggi, non vi sono dubbi che sul piano politico esce direttamente delegittimato il parlamento nel suo complesso e indirettamente indebolita la posizione degli organi che da esso hanno in varia misura tratto origine, tra cui il capo dello stato e paradossalmente la stessa corte che ha dichiarato la illegittimità della legge elettorale. Per effetto della incostituzionalità estesa al premio di maggioranza risulterebbe una geografia politica molto diversa da quella riscontrabile nella attuale composizione delle camere, al punto che si è parlato, con tanto di elenchi nominativi e persino fotografici, di parlamentari abusivi. Il discorso non ha alcun pregio significativo sul piano giuridico: il principio della continuità dello stato non tollera eccezioni e formalmente è tutto in regola. Ma lo fu anche per l’avvento del fascismo che, squadracce e marce a parte, rispecchiò puntigliosamente le procedure dell’epoca, con un regolare giuramento davanti al sovrano e la successiva concessione della fiducia nella sede parlamentare.

         Una circostanza merita di essere sottolineata. Da tempo quasi immemorabile, pur con riferimento al breve o anche medio periodo, le questioni politiche con le relative implicazioni legislative vengono sottoposte al capo dello stato e sembra normale che ci si rivolga a lui e non piuttosto alle camere che sono pur sempre titolari del potere legislativo. Questo stesso potere viene però esercitato con larghe concessioni allo strumento del decreto legge e a quello del decreto legislativo, l’uno e l’altro emanati nella sede governativa, sia pure con tutti i temperamenti e le limitazioni costituzionali. Torna qui l’annoso discorso della costituzione materiale, che in teoria è l’evoluzione del sistema nei comportamenti prima che nell’aderenza alla norma scritta, ma in pratica ne può significare la elusione se non la violazione.

         Nelle date condizioni una operazione di assestamento e riequilibrio risulta necessaria e anzi urgente. Non mancano le provocazioni anche in punto di diritto che emergono nel momento stesso in cui si pongono problemi che non avrebbero ragione di nascere. Ci si è chiesti, per esempio, se non possano rischiare il seggio i deputati (o senatori) la cui elezione non sia stata ancora convalidata, ipotizzandosi una decisione in senso negativo solo per loro, mentre sarebbero al sicuro gli altri. Si noti che nessun voto di decadenza è stato mai espresso nei confronti di Silvio Berlusconi, del quale il senato si è limitato a deliberare la non convalida della elezione in forza di una legge sopravvenuta. Lo stesso ragionamento, se vale il principio della retroattività, dovrebbe valere per un considerevole numero di deputati la cui elezione non sia stata ancora convalidata. Si tratta di esercitazioni teoretiche al limite del sofisma, eppure su questo terreno ci si è ampiamente e – ciò che stupisce e allarma – autorevolmente cimentati, a riprova delle sterminate e incontenibili risorse della fantasia umana.

         Un terzo evento, squisitamente politico e a differenza degli altri due completamente privo di caratterizzazioni giuridiche, è dato dalla elezione di Matteo Renzi alla guida del Partito democratico. La novità consiste nella svolta generazionale in nome della rottamazione ormai inarrestabile della vecchia classe dirigente. Le prospettive toccano nell’immediato il sostegno e il condizionamento del governo in carica, che potrebbe essere colpito nella sua stessa composizione se il neosegretario intendesse dare seguito alle intenzioni prima manifestate in ordine alla necessità del dimissionamento del ministro guardasigilli. Ma il quadro si è subito ampliato fino a ricomprendere le riforme istituzionali ben al di là degli aspetti elettorali, oltre che a riguardare le questioni di politica economica, tributaria e sociale demandate alla competenza decisionale degli organi costituzionali e tra questi in primo luogo governo e parlamento. Si guarda a una nuova fase costituente per ridefinire la forma di stato e di governo, a livello centrale e periferico. Dal confronto dialettico tra le varie forze in campo potranno nascere intese e decisioni; ma se si crede ancora alla centralità del parlamento occorre prima di tutto garantirne la piena credibilità politica e legittimazione democratica.

Lillo S. Bruccoleri

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