«Più o meno cinque anni fa, mi frequentavo con un ragazzo che mi piaceva molto. Usciva da una lunga storia; lunga ed importante»…
Comincia così la storia di Daniela, attrice e fisioterapista. Una donna forte, che nella vita ha dovuto superare non poche difficoltà. Ci racconta un episodio che risale a diverso tempo fa, che le ha lasciato un importante segno e fa ancora male.
Siamo solo io e lei, separate dal display del cellulare. Ma la schermata non ferma la sua voglia di raccontarmi questo sgradevole avvenimento ancora vivo nei suoi ricordi.
La mia attenzione viene immediatamente catturata dalle parole che spende per quell’uomo: una persona evasiva, dagli atteggiamenti fraintendibili, distratto dai suoi stessi silenzi, spesso molto cupi. Ma non saranno queste le incertezze che fermeranno Daniela, pronta a riempire ogni mancanza con le sue attenzioni, giustificando ed accettando quei comportamenti così schivi, ripetendosi : «Poverino, è appena uscito da una lunga storia, una storia difficile»…
Decide di rimanergli accanto per mesi, pazientemente.
Quella pazienza però si sta lentamente esaurendo e l’evento che le darà la forza per troncare definitivamente un tale rapporto, così altalenante, le resterà addosso e la cambierà per sempre.
Durante l’ultima notte di una vacanza estiva in una città straniera, Daniela inizia a sentirsi strana. Un forte dolore alla pancia le impedisce di dormire.
Cerca in tutti modi di essere discreta per non svegliare la compagna di viaggio che le dorme accanto, ma l’intensità di quel dolore aumenta, assumendo la forma di una contrazione, inducendola a contorcersi e a svegliare la sua amica che immediatamente le suggerisce di precipitarsi al pronto soccorso.
Ma lei non vuole: preferisce aspettare che le fitte smettano di farle così male, escludendo l’intervento di un medico, a cui sarebbe difficile spiegare quelle sensazioni in una lingua diversa dalla sua.
Decide di alzarsi dal letto per andare in bagno. Si siede. Quel dolore non vuole smettere, le contrazioni sono più intense e regolari. Ma dopo aver dato una forte spinta tutto si ferma. Daniela si sente improvvisamente meglio.
Mi rendo conto di essere attonita di fronte allo schermo, mentre lei parla senza esitazione, quasi inciampando sulle sue stesse parole. Sembra stia raccontando di un personaggio da lei interpretato durante una performance teatrale e non della sua vita.
Poi, di colpo, si ferma: «Aspetta, mi sono accorta che sto raccontando tutto di fretta»… Lo dice quasi ridendo, per poi portarsi gli occhiali sulla testa, tirandosi indietro i folti capelli ricci e lasciando scendere qualche lacrima, mentre respira lentamente.
Ma si tratta di un attimo, perché dopo quell’istante prosegue il racconto, con l’estrema eleganza che la contraddistingue. Riprende subito dalla forte spinta e dal sollievo che ne deriva mentre si trova seduta in bagno.
Spiega di aver preso coraggio per chinarsi e guardare. All’istante capisce che si è trattato di un aborto. Non perde sangue, solo poche striature. Rimane immobile per qualche secondo, prima di tornare a letto, tenendo per sé l’accaduto. Si sente visibilmente meglio e questo basta a rassicurare l’amica.
Ancora confusa, il mattino dopo decide di raccontarle tutto, ma ciò che riceve è una fredda consolazione. Non spende, infatti, troppe parole e le chiede solo come sia possibile; ma questa è la stessa domanda che Daniela si pone ancora oggi, per moltissimi motivi. Ad alcune di queste è riuscita a rispondere.
Al ritorno da quel viaggio non ci fu bisogno di altri appuntamenti per capire che continuare la frequentazione di quell’uomo non le avrebbe mai dato ciò che stava cercando; mai la stabilità che sentiva di volere.
Lo avrebbe tenuto quel figlio, pur sapendo la fatica a cui sarebbe andata incontro; e pur affermando a se stessa che il padre del bambino, molto probabilmente, non le sarebbe rimasto accanto.
Ma è una storia che ancora non smette di stupirmi e di lasciarmi ammirare il coraggio di questa donna, perché immediatamente inizia una sua riflessione da cui mi sento tuttora particolarmente coinvolta. Riflessione che vede noi donne ancora una volta vittime di questa società affogata da una mentalità maschilista. Un mondo in cui la maternità si trasforma in affermazione, completezza, traguardo.
«Associavo completamente l’essere donna con l’essere madre». Questo è ciò che dice la mia interlocutrice. Questo è ciò che ci insegna il pensiero comune. Raggiungere i trentacinque anni senza avere dei figli è come essere solo parzialmente donne.
Singolarmente non contiamo molto. Daniela per anni non si è sentita abbastanza, eppure è stata «abbastanza» forte da saper affrontare, in completa solitudine, un episodio così drammatico da destabilizzare chiunque.
Si continua a parlare del problema e mi domando se questa ricerca della femminilità distorta sia la causa effettiva della scelta di accontentarsi di una relazione destinata a finire senza avere mai inizio.
Silvia Bruni
(Foto tratta da donna.fidelityhouse.eu)