
Si è svolta al teatro sociale Villani di Biella, nella serata di venerdì 25 giugno. la presentazione dei libri dei cinque finalisti della settantacinquesima edizione del Premio Strega. La stessa età della costituzione italiana, come ha recentemente ricordato il presidente della repubblica Sergio Mattarella.
La tappa ufficiale del tour è stata organizzata dall’associazione culturale «#fuoriluogo» in collaborazione con la fondazione Bellonci, numerosi sponsor locali e Liquore Strega di cui sono stati offerti dei simpatici mignon, al termine della serata, a tutti i partecipanti. A tal proposito è interessante sottolineare che casa Bellonci, dimora storica della letteratura italiana del novecento, a breve verrà trasformata in una casa museo.
Sul palco erano presenti solo due finaliste donne, mentre i rimanenti tre, due uomini e una donna, sono intervenuti con collegamento a distanza dal maxischermo. Una di queste è la scrittrice, poetessa e giornalista ebrea di origine ungherese Edith Bruck con il libro «Il pane perduto» edito dalla Nave di Teseo e già vincitore del Premio Strega Giovani. Una toccante autobiografia poetica che narra l’infanzia di una bambina scalza, che da un minuscolo paesino ungherese viene deportata ad Auschwitz insieme con la sua famiglia. Unica superstite, insieme con la sorella maggiore, dopo tre mesi di torture, viene trasferita al campo di concentramento di Dachau, distante diciassette chilometri da Monaco. Dopo una serie di peripezie non avverse, raccontate con dovizia di commoventi particolari, riesce ad evadere prima nello stato di Israele e poi nell’accogliente città di Napoli dove in seguito incontra l’uomo che diventerà suo marito.«Ma perché scelse di stare proprio a Napoli?» le domanda la giornalista del team di «#fuoriluogo». «Perché mi sentivo a casa; nei vicoli di Napoli la gente era amichevole, era affacciata da un balcone all’altro e sorrideva. Quindi mi sono detta: qui posso vivere», risponde la Bruck. Quasi in reazione di contrappasso per gli atroci dolori subiti da bambina, come il duro distacco dalla madre persa durante la Shoah, una scelta in cui il naturale calore partenopeo ha colmato le sue lacerazioni interiori.
La seconda finalista che ha presenziato alla serata è Donatella Di Pietrantonio, già conosciuta per «L’Arminuta», che questa volta presenta il libro «Borgo Sud» edito da Einaudi. Quasi un sequel del precedente, in quanto ritroviamo l’Arminuta cambiata e cresciuta: una storia di perdono e di sradicamento. Il peccato originale per la sua protagonista è l’essere arrivata per sbaglio, per caso, non voluta. Come direbbe il filosofo esistenzialista Heidegger, «essere gettati nel mondo della disattesa», cita la Pietrantonio. Per Arminuta e la sorella Adriana crescere in famiglie problematiche le costringe a inseguire per tutta la vita affetti sani e mancati portandole a introiettare relazioni di colpa. Personaggi abbandonici che tendono a reiterare comportamenti di autocolpevolizzazione («non arriva per colpa mia») per la coazione a ripetere, riproponendo quel modello che le ha fondate.
C’è un altro personaggio saliente in «Borgo sud»: Piero, il protagonista maschile, nato invece da una famiglia borghese ma anche lui considerato un fuggitivo poiché costretto a negare delle parti importanti di sé. Consiglio della scrittrice: «i cachi maturano lenti», il che significa leggere più lentamente, correre meno, proponendosi di compiere una migliore cernita delle cose da fare nella vita.
Il terzo autore, collegato a distanza, è il bizzarro Emanuele Trevi che con tutta la sua simpatica romanità presenta «Due vite» edito da Neri Pozza. La sinossi del libro, definito autobiografico, narra le storie sentimentali di due reali amici dell’autore, purtroppo prematuramente scomparsi. Lui tende invece a soffermarsi sul suo processo elaborativo, l’editing con la necessità di valorizzare la voce narrante quale ombra della propria immagine: lo stare dentro la storia. L’autore cita Walter Scott, padre del moderno romanzo storico, contrapponendolo ai naturalisti come Verga, «una finestra sul mondo», in cui, viceversa, la voce narrante scompare generando, stilisticamente, un diverso ritmo narrativo. Conclude filosofeggiando il concetto che gli stessi cinque finalisti dello Strega abbiano in un certo senso una voce narrante strumentalizzata per presentare i propri testi in gara.
A seguire la giovane ma molto preparata Giulia Caminito, presente a teatro con «L’acqua del lago non è mai dolce» (Bompiani). È la storia della romana Gaia, figlia di Antonia. già madre di un altro figlio avuto da un padre poi sparito (in seguito si scoprirà essere in carcere) e di due figlie avute da un altro uomo costretto a vivere su una carrozzina per disabili. La famiglia di Gaia si trasferirà da Roma a un paese di provincia, sul lago di Bracciano. E sarà proprio il lago, oltre che il luogo principe della narrazione, a diventarne lo stesso protagonista. Il lago è una location significativa e pregnante per l’autrice, rappresenta il suo posto dell’adolescenza, crescita e perdita (cinque anni fa, della sua migliore amica). Questo libro è un modo di ritornare in quel momento e di chiudere un cerchio personale. Il linguaggio è di alto livello, sovrabbondante e multistratificato, in cui l’«io» diventa sempre più fulcro della narrazione che si è buttata nel pesante «io» di Gaia, una ragazzina che non ha mezzi e che diventa violenta. L’autrice la descrive come una «personaggia», utilizzando un neologismo di sua invenzione con connotati quasi dispregiativi, veramente fastidiosa che, oltre a commettere atti di violenza, sceglie amicizie e frequentazioni al fine di modificare il suo status per ambire ad una risalita sociale. Il libro, dalla struttura circolare, è una escalation dall’«io» debole di Gaia che con il tempo si trasforma e diventa un «io» adulto. Infine il personaggio di Antonia, quale figura di madre dominante, rappresenta un archetipo che sempre ritorna nei suoi libri: «un filone matrilineare che emerge nella letteratura italiana come un fiume carsico», è la conclusione.
Infine interviene con collegamento da Houston (Texas) il moderno ed avveniristico Andrea Bajani con «Il libro delle case» edito da Feltrinelli. Docente di scrittura creativa a studenti che provengono da discipline diverse, l’autore, d’impronta tipicamente statunitense, descrive il suo libro come un puzzle scomposto dove sono le nostre case protagoniste assolute dell’indagine e ricerca dell’«io». «Quando siamo in casa ci dimentichiamo di noi, non ci rendiamo conto che le case ci guardano», spiega Bajani. «Se una persona dovesse raccontare la vita di un uomo che si chiama “io” all’interno delle case, sarebbero loro gli unici testimoni attendibili, a conoscenza di ciò che non vogliamo fare sapere», prosegue. Quando ognuno di noi racconta chi è, incastona il tempo in una diacronia che si dispone su una linea retta perché è rassicurante; invece la realtà rispecchia un continuo movimento dentro noi stessi che è il nostro altalenante fluire. Bajani introduce anche il concetto dell’urbanistica in versione letteraria, utilizzata per raccontare le variazioni politiche collocate nelle varie classi sociali sempre correlate al concetto di forma introspettiva volta alla vera scoperta della propria persona. Il libro, che prima di tutto è musica per cui «bisogna leggerlo piano per sentire che suono ha una frase», come sostiene Bajani, è scritto in una prosa poetica e racconta della percezione soggettiva della propria abitazione che quando è vista da uno sguardo altrui, che introducendosi all’interno della stessa muta il posizionamento del mobilio, destruttura la nostra personale visione prospettica.
Cinque libri dai contenuti eterogenei: una storica e toccante autobiografia, di utile lettura per le ore di educazione civica dei ragazzi; un’altra più personale ed introspettiva; due romanzi psicologici che affrontano tematiche attuali ed infine un libro dal contenuto più creativo e anomalo con considerazioni che si estraniano da una narrazione meramente tradizionale.
La votazione finale che decreterà il vincitore del Premio Strega si terrà il prossimo 8 luglio a Roma. Un augurio a tutti: che vinca il migliore!
Mara Valsania
Nella foto: il palcoscenico dell’incontro