Notti magiche

Che fervore, quanti gol ed entusiasmi, voci quasi onomatopeiche di speaker dal ritmo incalzante che raccontano partite di calcio in dirette streaming o radiofoniche e specialmente sulle vecchie reti Rai. Come si diceva ai tempi in cui non esisteva nemmeno il telecomando: gira sul primo. Italia Svizzera 3-0 e tutti esultano di gioia; Italia-Galles 1-0 e altrettanta felicità che sprizza dai cuori dei connazionali.

Sono i campionati europei slittati di un anno per via dell’emergenza Covid-19 (anche se citandola sembra di sporcare un foglio ritornato quasi bianco) che ha costretto l’esecutivo Uefa a ufficializzarne il rinvio dall’11 giugno all’11 luglio correnti. Il primo campionato europeo itinerante per la celebrazione dei sessant’anni della manifestazione, oltre che allo stadio Olimpico di Roma, sede della gara di apertura, verrà ospitato in undici città d’Europa. Le semifinali e la finale sidovrebbero disputarsi invece  al Wembley Stadium di Londra.

Ma tralasciando polemiche politiche, generatesi negli ultimi giorni, per via del mancato inginocchiamento per il Black Lives Matter di mezza squadra italiana all’Olimpico prima della partita contro il Galles, pare più opportuno dare voce ad aspetti dall’impronta più sociologica.

Il mood che si respira guardando o sbirciando i fuori gioco, il calcio di zona, tipico di fine anni ottanta e portato in Italia da Arrigo Sacchi, allora allenatore del Milan, quello di punizione e di rigore, richiama quella lontana energia delle «notti magiche» dei mondiali del 90. Ancora riecheggiano le calde voci di Bennato e  Nannini che a squarciagola cantavano «inseguendo un gol sotto il sole di un’estate italiana».

Erano bei tempi, quelli dell’Italia rampante, della rapidità calcistica di Totò Schillaci, degli yuppies arricchiti, dei jeans a vita alta, peraltro tornati di moda, del belpaese che viveva un grande momento dì prosperità economica. Basta ricordare la cerimonia di apertura allo stadio di San Siro, luogo culto della cosiddetta «Milano da bere».

Dopo un anno e mezzo di immobilismo coatto, di perdite sia finanziarie che familiari, di crolli e di dolori causati da un disarmante nemico invisibile, di zone rosse, arancioni scure, arancioni e gialle, l’Italia Arlecchino sta finalmente risorgendo in cerca di condivisioni pure e semplici come la passione per il calcio: l’atavico ed intramontabile gioco di squadra.

Già. di squadra, come sinonimo di appartenenza ad un gruppo che ha la smania di tornare ad assaporare la libertà perduta, di ritrovarsi aggregati, nonostante il caldo di giornate afose, in un bar di paese a condividere una nuova allegria per cui la partita di calcio rappresenta lo spettacolo di evasione.

Ma che bello entrare in pizzeria e durante l’attesa colmare l’acquolina osservando morbidi impasti di farina bianca infilati nel forno a legna mentre il piccolo schermo trasmette la partita dell’Italia! Per qualche attimo fermare lo sguardo su una coppia che cena nel dehor bevendo birra con lo sguardo distrattamente rivolto verso quei giocatori che dribblano la palla cercando di segnare un gol e percepire nel loro intimo un piacevole lieve affanno insieme con quella voglia di tornare a sorridere e ad entusiasmarsi.

Cantava De Gregori, «Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, un giocatore lo vedi dal coraggio. dall’altruismo e dalla fantasia».

Fantasia di ricostruire una nuova Italia valorizzando gesti semplici e ritrovati.

Mara Valsania

Nella foto: Edoardo Bennato e Gianna Nannini

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