Il senato nel mirino della riforma costituzionale

La presidenza semestrale italiana dell’Unione europea si apre con un deciso intervento del nostro presidente del consiglio che, forte del consenso ampiamente maggioritario conquistato alle elezioni, reclama una applicazione del patto di stabilità che privilegi la crescita sul rigore. La nostra credibilità esce rinvigorita dal nuovo clima fortemente innovatore, che tuttavia non richiede necessariamente una accelerazione sul terreno delle riforme istituzionali. Qui occorre, al contrario, essere molto cauti e ricordare che per costruire l’impianto dell’ordinamento repubblicano ci sono voluti due anni di lavoro di una apposita assemblea dotata di rappresentatività popolare effettiva. Questi requisiti non sono posseduti dall’attuale parlamento, al di là del principio di continuità dello stato che ne legittima la composizione e l’operato; ma, se è per questo, anche il fascismo assunse il potere in modo ineccepibile sul piano formale con tanto di incarico di governo conferito dal sovrano e di fiducia accordata nella sede parlamentare. Appare paradossale che la riforma della costituzione sia affidata a due camere formate sulla base di un sistema elettorale dichiarato incostituzionale. Più in generale, il potere legislativo appartiene al parlamento e non al governo, i cui programmi non dovrebbero toccare se non in termini meramente propositivi e intenzionali una funzione che appartiene in via principale e preminente alle massime istituzioni rappresentative.

La tradizionale divisione dei poteri ha trovato una applicazione più ampia e originale nel nostro sistema, caratterizzato da un intreccio di competenze e facoltà che distribuisce compiti e attribuzioni tra soggetti diversi in modo che nessuno ne sia titolare esclusivo. A questi stessi fini si sono ispirate le normative note come sistema delle immunità, che più propriamente andrebbero considerate in una visione garantistica tesa a evitare possibili commistioni o invadenze nelle altrui sfere di competenza. Il costituente, memore dei condizionamenti imposti dal regime appena caduto, si preoccupò di assicurare alla magistratura una posizione di indipendenza che la rendesse libera di svolgere serenamente i suoi compiti; ma nel contempo ebbe ad attribuire alle assemblee legislative il controllo sulla perseguibilità dei loro componenti per ragioni comunque riconducibili all’esercizio delegato della sovranità popolare. Il principio è stato rafforzato con una norma, raramente evocata, posta nell’articolo 98 della costituzione, che all’ultimo comma recita testualmente: «Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero». Non sarebbe peregrino, sotto questo angolo prospettico, valutare ipotesi di ineleggibilità o, secondo più recenti locuzioni, di incandidabilità per chi in una delle vesti sopra indicate avesse avuto un ruolo attivo in vicende dotate di chiare implicazioni politiche. Questo non potrebbe che giovare all’assunto largamente condiviso che il magistrato deve non solo essere ma altresì apparire imparziale: diremmo prima, durante e dopo.

Il tema delle immunità è stato agitato di recente nell’occasione di una estensione delle residue prerogative parlamentari al sopprimendo senato, del quale una corposa monografia di Spartaco Cannarsa ebbe a descrivere l’agonia, la morte e la rinascita dal fascismo alla repubblica. L’azione penale fu tassativamente esclusa per i membri del parlamento, senza la autorizzazione a procedere, dall’originario testo della costituzione nel suo articolo 68, che per una curiosa coincidenza corrisponde nel numero a quella francese sulla immunità presidenziale. Si è imposta oltralpe la regola che durante il suo mandato non possa essere perseguito il capo dello stato neanche per reati extrafunzionali: gli atti restano sospesi, ma nello stesso tempo sono sospesi anche i termini di prescrizione dei reati. È quanto è avvenuto per Jacques Chirac e per Nicolas Sarkozy, quest’ultimo addirittura privato della libertà e sottoposto per diverse ore alla cosiddetta garde à vue. Il punto di partenza è appunto quello del nostro articolo 68 che per i membri del parlamento fissa il principio della insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Se fosse solo per questo (prima della più radicale e auspicabile depenalizzazione di tutti i reati di opinione), basterebbe riportare la norma nel codice penale escludendo la punibilità per fatti commessi nelle assemblee elettive, dalla camera dei deputati al più piccolo dei consigli comunali. In attesa di riforme di più ampio respiro, sarebbe un bel passo in avanti non già per la difesa di inammissibili e anacronistici privilegi, ma per il potenziamento dei valori autenticamente democratici.

Lillo S. Bruccoleri

(dal Mensile di luglio 2014)

Nella foto: Cesare Maccari (1840-1919), Cicerone denuncia Catilina in senato, particolare dell’affresco in palazzo Madama a Roma (1880)

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