Risparmio sulla democrazia

La staffetta a palazzo Chigi, ufficializzata con il gelido passaggio della campanella dalle mani di Enrico Letta a quelle di Matteo Renzi, avviene nel segno di una rapida accelerazione temporale delle riforme e dello spostamento in avanti della prospettiva di durata dell’esecutivo per tutto l’arco della legislatura. Due impegni prioritari balzano in evidenza: legge elettorale e trasformazione del senato; l’una e l’altra rientrerebbero in un disegno innovativo condiviso oltre gli stretti limiti di maggioranza, sulla base dell’accordo con Silvio Berlusconi di cui si è ampiamente discusso. Si tratta ancora una volta di stabilire le regole del gioco alla cui definizione dovrebbero concorrere tutti i partiti nell’interesse generale del paese. Un punto merita di essere sottolineato: l’asse politico tende finalmente a spostarsi verso il parlamento, la cui importanza resiste alle spinte centrifughe che vanno da tempo manifestandosi, con particolare accentuazione del ruolo preminente del capo dello stato. Ma qui c’è una sorta di avvitamento istituzionale: abbiamo due camere elette con un sistema elettorale sforbiciato dalla consulta che ne ha dichiarato la carenza di rappresentatività; ma sono le uniche legittimate a modificare le norme per stabilire come dovranno essere rinnovate quando il popolo sarà chiamato alle urne. Queste camere sono adesso onerate del compito di cambiare l’impianto fondamentale dello stato, peraltro automutilandosi con il depotenziamento di una di esse, in una situazione paradossale che affida il compito di cambiare la costituzione a un parlamento eletto sulla base di una legge incostituzionale. Siamo ormai abituati a stranezze di questo tipo, per non parlare di anomalie. Il percorso più lineare sarebbe quello di una buona legge elettorale e di un immediato rinnovo del parlamento previo scioglimento anticipato di quello attuale. Ma questa strada risulta impraticabile per una serie di esigenze tra cui primeggiano quelle economiche che ormai fanno premio su tutto. All’insegna del risparmio si è partiti per la introduzione di un monocameralismo sostanziale e per la soppressione di varie istituzioni rappresentative territoriali a cominciare dalle province; si sono poi aggiunte motivazioni funzionali per il recupero della efficienza, che invero è più che carente sul piano organizzativo. L’insidia però è subdola e pericolosa, perché si va gradualmente dissolvendo il principio della sovranità popolare con la attenuazione dei livelli partecipativi nella cui corretta dinamica possono riconoscersi i concetti basilari della democrazia.

Lillo S. Bruccoleri

Dal  Mensile di marzo 2014

Nella foto: il presidente Giorgio Napolitano posa al Quirinale con il governo Renzi, appena subentrato al governo Letta-Alfano. Nessun vice premier in questo  esecutivo, composto, oltre che dal presidente, da sedici ministri, con il pieno rispetto della parità di genere: otto donne e otto uomini. La figura del vice presidente del consiglio è stata introdotta con la nomina di Pietro Nenni nel primo governo De Gasperi, durato in carica dal 10 dicembre 1945 al 14 luglio 1946.

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